Ancòra

Ancora Hakan GundayIl nostro paese è un ponte antico, con un piede scalzo a Oriente e l’altro infilato in una scarpa a occidente, da cui transita qualsiasi merce illegale. Per il nostro ventre passa ogni cosa, Specialmente gli uomini chiamati clandestini. E noi facciamo del nostro meglio. Li ingoiamo e per non strozzarci li mandiamo via. Là dove devono andare. Un commercio tra un confine e l’altro. Da un muro all’altro. Naturalmente il resto del mondo non rimane con le mani in mano e fa di tutto per creare la disperazione capace di spingere quella gente a fuggire dalla terra natia, per giungere nel luogo in cui sarebbero morti. Ogni genere di disperazione. Di ogni lunghezza, diametro, peso e età.

Ambientato nell’odierna Turchia, terra  martoriata e di transito dei nuovi schiavi dell’Occidente, in cui un ragazzino Gaza, segue le orme del padre Ahad nella sua vita di trafficante di migranti nell’Egeo e nel suo diventare adolescente. La lunga spietata e agghiacciante confessione di Gaza è il fulcro del romanzo, i clandestini sono le comparse. Ahad porta uomini: afgani e pachistani, siriani e iracheni, una folla indistinta che conosce una sola parola di turco «daha», «ancòra»: ancòra acqua, cibo, aria:  chiedere per non morire. Lui li chiude nel camion o in una cisterna-prigione, alcuni per indifferenza o malvagità li lascia anche morire. Ahad usa i profughi: per una sorta di educazione al male e per scoprire se stesso e il mondo: violenta le ragazze in cambio di un pezzo di pane e costringe gli uomini a battersi tra loro come animali, costruendo all’interno dell’infernale cisterna un mondo di potere in miniatura che osserva tramite strategiche telecamere.
Pagina dopo pagina si evidenzia l’abisso che separa il padre dal figlio: Il padre infatti considera i migranti solo ed esclusivamente oggetti: gli sono affidati , viene pagato per spostarli intatti, vivi. Non sono per lui esseri umani con sentimenti dolori speranze, ma sono come  sacchi di farina o bidoni di benzina che trasporta in cambio di denaro. Il figlio no. Nonostante le possibilità di riscatto, Gaza non riesce a sradicare la malvagità e l’odio che ormai impregna ogni suo gesto e pensiero, nemmeno ripercorrendo a ritroso quella strada che molti hanno compiuto per approdare in Europa. I fatti di cronaca del 2013 sono alla base del romanzo, quando si scrivevano sui quotidiani le cifre, i numeri dei morti nel mare Egeo. Non c’erano nomi, niente di niente: solo numeri.  L’autore ha riflettuto sul fatto che  nessuno scriveva di chi aveva portato quella gente sulle coste. Il risultato è un lucido memoir – documentario sulla tratta degli esseri umani e sulla terribile tragedia dell’emigrazione clandestina.

Perché le guerra di religione sono come le mode: ritornano ogni vent’anni, almeno in medio oriente. In occidente, la gente ha già imparato a vestirsi nel modo più consono, e quindi gli occidentali versano il sangue per nobili ideali quali l’approvvigionamento di idrocarburi. E siccome è molto difficile lavare una macchia di sangue dai tappeti del Parlamento europeo o della Casa Bianca, gli occidentali non portano mai la guerra in casa propria.

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