Dieci prugne ai fascisti

Quel giorno non era accaduto nulla che lei non potesse reggere, ma il cuore ha memoria, conserva tutto, accumula e prima o poi decide che ne ha avuto abbastanza e non vuole più sostenere. Ottantasette anni di vita: due guerre, i sogni, l’amore, i figli, il divorzio, i morti, le malattie proprie e quelle degli altri. La vecchiaia è crudele perché ti rendi conto che per strada non hai perduto proprio nulla, ti porti tutto appresso e il peso ti piega, cambia l’espressione del tuo sguardo, incide sulla tua capacità di stupirti.

Nella famiglia di Lania, la nonna è tutto, origine,  centro, partenza e arrivo. Tutto ruota attorno alla figura della nonna, ogni decisione deve essere vagliata e approvata, ogni domanda e dubbio hanno solo le sue risposte come soluzione. E un giorno la nonna informa i propri famigliari di voler essere, un giorno, sepolta nella sua terra di origine: la Bosnia. Da quel giorno e da quell’affermazione passano anni, i nipoti crescono e il mondo cambia. Poi un giorno accade che la nonna muore e agli altri non rimane che quell’ultimo desiderio da esaudire. Iniziano così le avventura di Lania, della madre e dei fratelli alla ricerca di un modo di riportare la salma della nonna in Bosnia. E cosi tra coordinare i famigliari che sono altrove, la burocrazia e il lutto, Lania e i suoi fratelli intraprendono un viaggio geografico di confini e uno più profondo, quello del ritorno in patria, dopo essere stati per anni profughi, immigrati ed esuli in Italia. Un viaggio a tratti grottesco, inaspettato e intenso che riporta alla memoria gli orrori della guerra, i dolori per i famigliari che non ci sono più e la nostalgia di un mondo perso per sempre. Un viaggio che attraverso i chilometri diventa un viaggio a ritroso nel tempo, fin a quel giorno quando in cui  la resistenza familiare iniziò con le prugne ai fascisti.
Un romanzo che sottolinea l’importanza della storia e delle figure femminili che sono il centro di vite e generazioni. Interessante, esilarante e profondo.

Dov’era morta la Jugoslavia? Forse in un luogo solo. E con lei, loro erano scomparsi, senza che scoprissimo mai dove. Con quello stato eravamo svaniti anche noi, quel noi composto da ventitré milioni di individui chiamati jugoslavi, cancellati dalle cartine geo – politiche, riallocati all’interno dei confini più stretti  delle nostre piccole Repubbliche indipendenti e gli altri, a quel punto nemici, erano sempre di più. Il noi era diventato altro, da fratelli siamo diventati nemici giurati…
Noi quattro, la mia famiglia, siamo poi partiti e siamo diventati quattro profughi in terra straniera: bosniaci in Italia, extracomunitari in Europa.

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