Disorientale

DisorientaleD’altronde, visto che ne stiamo parlando, trovo che manchi di sincerità e franchezza, perché, per integrarsi in una cultura, ve lo garantisco, bisogna prima disintegrarsi almeno parzialmente dalla propria.Disunirsi, disaggregarsi, dissociarsi. Tutti coloro che invitano gli immigrati a fare ” lo sforzo di integrarsi” non osano neanche guardarli in faccia per chiedere loro di fare il necessario “sforzo di disintegrarsi”, pretendono che arrivino in cima alla montagna senza passare dalla scalata.

In esilio a Parigi dall’età di dieci anni, Kimià, nata a Teheran, ha sempre cercato di tenere a distanza il suo paese, la sua cultura, le sue origini e la sua ingombrante famiglia. Impresa difficile, quando già il nome desta curiosità e l’accento evidenzia l’essere straniero. Kimià si muove tra il dentro della famiglia e le mura domestiche e il fuori, il mondo frenetico. Un dentro che ha profumi e tradizioni millenarie e riflessi culturali incomprensibili, Kimià è figlia di un oppositore prima dello Scià e poi di Khomeini. Un fuori che è una città difficile per storia, geografia e rivendicazioni culturali. Kimià si porta addosso la fuga precipitosa da un paese, che era casa, il silenzio del non detto, la rivoluzione politica e religiosa dell’Iran e una sanguinosa guerra tra Iran e Iraq che ha mutilato due nazioni. Difficile integrarsi con una tale storia: una storia che sull’albero genealogico di famiglia segna solo i nomi maschili. Ribellarsi è d’obbligo, ma Kimià è sola e si orienta a fatica: ecco il salvifico rock, lavori saltuari e il sorriso di una bassista bionda; tutto alla rinfusa tra Parigi, Bruxelles e Paesi Bassi. Un romanzo costruito come un disco in vinile, con un lato A e un lato B; alla lettera, perché il libro è diviso in queste due parti. E come un disco, sembra essere scritto a ritmo di musica; anzi di tante e diverse melodie (ma prevalgono il jazz e il rock) che si compongono in un insieme che possiamo chiamare un’identità, o un’appartenenza. Un romanzo fiammeggiante, ironico e doloroso sulla memoria e l’identità.

E dato che, come si sa, qualcosa si perde nella traduzione, non deve sorprendere che abbiamo disimparato, almeno parzialmente, ciò che eravamo per far posto a ciò che siamo divenuti.

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