Dispersi

Si consideravano fortunati quando la mano benedetta degli impiegati del consolato si alzava per ricadere sul passaporto e stampigliare il visto. Avevano valige grandi e capienti, ripiegata all’interno c’era tutta la loro casa. Non lasciavano indietro cappotti e scarpe, coperte e lenzuola, pacchetti di tè, di spezie, di tritello, le medicine e i bicchierini da tè, gli album di fotografie e i documenti ufficiali, i dischi e le videocassette. ” Valigie da iracheni.”

 

Iraq anni cinquanta: la giovane ginecologa Wardiya viene assegnata a Diwaniya, un piccolo centro poco distante da Baghdad, subito dopo la laurea. Diwaninya diventa in pochi anni il centro geografico della vita di Wardiya, allontanando Baghdad e la casa paterna. A Diwaniya la giovane dottoressa crea dal nulla il reparto di ginecologia e si guadagna la fiducia delle donne, si sposa con Girgis, un amatissimo medico e mette al mondo i suoi quattro figli.Si impegna con dedizione al proprio delicato lavoro, che nel tempo mostra tutti i lati peggiori di una società strettamente patriarcale, dove le donne sono l’oggetto di violenze, da parte di padri, fratelli e mariti. Wardiya cresce attraverso la sofferenza delle sue pazienti e nei momenti di gioia che regala una nascita. Gli anni scorrono veloci, i figli crescono e l’Iraq attraversa sempre una qualche guerra. Il ritorno a Bagdad per il pensionamento si rivela pericoloso e l’idea di un ambulatorio diventa un atto sovversivo. E così anche Wardiya decide di lasciare l’Iraq, ultima di tutta la famiglia, poiché l’imbarbarimento dell’Iraq costringe negli anni i figli a partire: Hinda, la maggiore, anche lei dottoressa, va a Toronto con la famiglia e si accontenta di un faticoso lavoro in una riserva indiana pur di tornare a esercitare la medicina; Barraq, ingegnere, è a Haiti in missione; Yasmine accetta un matrimonio combinato a Dubai pur di lasciare il paese. Raccontato in terza e in prima persona,dalla nipote che aiuta Wardiya a Parigi e che vede con piacere il legame che s’instaura tra la donna e suo figlio, il giovane Iskandar che vive in bilico tra la cultura francese e i ricordi di un paese lontano sfuocato dalla distanza e dal tempo. Il romanzo è un lucido sguardo sulla vita di persone costrette a reinventarsi la vita a causa della guerra. Con una scrittura limpida e appassionata l’autrice racconta la necessità delle migrazioni. Attualissimo.

Se si dice quel che si pensa dell Francia, qui non ti prendono a botte, non ti sbattono in galera. Ho avuto paura per i miei e per me stessa perché la violenza ha braccia lunghissime, che possono attraversare i confini. Ti poteva annientare, portare via da in capo al mondo. Io ero libera, ma la mia famiglia rimasta in ostaggio mi tratteneva. Ho indossato la paura, esattamente come loro, ne ho fatto una sorta di seconda pelle; ed è cresciuta con me, siamo diventate una cosa sola.

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