I Fichi Rossi di Mazar-e Sharif

I fichi rossi di Mazar-e SharifQuando si è sentito lo sparo, il sangue mi è schizzato sulla grata del burqua. il sangue del soldato che era seduto difronte a me – e che ancora sta lì – è passato attraverso i fori e mi è colato sul viso. L’odore di sangue fresco mi è entrato nel naso. Quando il sangue è schizzato sul burqua, mi sono piegata e sono scivolata giù sul sedile.

Quattordici racconti che narrano la guerra. La guerra vera, quella degli uomini e delle donne che la vivono sulla propria pelle, non quella dei reportage vista sempre con una prospettiva diversa. Da narrazione della guerra questi racconti sono narrazione nella guerra. I protagonisti sono bambini, ragazzi, uomini e donne, ciascuno alle prese con il dolore e la paura: i bambini sono increduli, i ragazzi sono orfani e mutilati, le donne sono prostitute alla ricerca della sopravvivenza, gli uomini sono soldati e bestie. Una narrazione corale lucida, spietata e cinica, senza sentimentalismi perché la guerra è così: spietata e senza via di scampo. Parlano i carnefici rivelando, con i loro gesti e le loro parole, il lato disumano dell’ uomo. Parlano le vittime svelando il dolore incomprensibile per l’ assurdo. La guerra cambia la Storia insieme ai destini delle persone, come in questi racconti: individui che perdono l’ anonimato dei numeri e delle statistiche per diventare persone con un nome e una storia. Sullo sfondo l’ Afghanistan, la religione, l’amore e la morte che legano tutto e tutti come un sottile filo rosso. Grazie Felicetta, un libro dolorosamente necessario.

Se tu avessi un fucile nessuno ti darebbe fastidio. Saresti tu a regalare soldi agli altri. Berresti acqua a volontà e non chiederesti più l’ elemosina. Me l’ ha detto mio padre. Dice che quando hai un fucile, lo metti in spalle e te ne vai in giro per tutta la città in taxi. Vai dove ti pare e piace. Il tassista non ti può dire niente. Lo puoi anche mandare a comprarti le sigarette… questo dice.

Il monologo interiore della protagonista del racconto Kanceni mi ha fatto pensare a quello della protagonista del film Come Pietra Paziente diretto da Atiq Rahimi e scritto da Jean Claude Carrière in collaborazione con il regista. Il film è tratto dal romanzo omonimo dello stesso regista, vincitore dell’edizione 2008 del premio letterario francese Goncourt. Interprete del film l’attrice iraniana  Golshifteh Farahani.
Una giovane donna, tra le macerie di una città in guerra, si prende cura del marito, ridotto allo stato vegetale da una ferita recente. Circondata dalla violenza degli scontri e abbandonata dai familiari, la donna si ritrova ad raccontare le proprie paure e frustrazioni al silenzioso corpo del marito, rivelandogli un pezzo alla volta le ombre di una vita insieme.
Atiq Rahimi Come Pietra Paziente Einaudi 2008

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