Il mandarino meraviglioso

A proposito del migrare, la sola cosa positiva che possa dire è questa: non conosco alcuna altra esperienza che insegni a tal punto bene la vita agli uomini.

Una giovane donna cammina nella notte di Ginevra, attraverso le vie solitarie ripercorre a ritroso episodi della propria vita, ritornando sulle rive del Bosforo, lì dove paura e inquietudine sono iniziate. Dall’infanzia all’adolescenza, dalla gioventù sprecata perché priva di alcun strumento necessario ad orientarsi tra sentimenti, legami, desideri. A Istanbul essere donne e essere donne libere significa infrangere divieti e restrizioni morali e l’unico modo per farcela era andare via. E ora, dalla strade deserte di Ginevra, una donna riflette di emigrazione e di identità perse e ritrovate a brandelli attraverso legami sentimentali, che raccontano di uno sconfinato spaesamento che porta a un nuovo inevitabile distacco. Con una scrittura lirica vicina più alla poesia che alla prosa Asli Erdogan sembra portare sulle spalle la saggezza dei secoli, contenere la storia del mondo  e dare nuovo significato alla libertà e alle emigrazioni, che oltre alle geografie sono personali passaggi di dolore e di emancipazione.

La mia migrazione è cresciuta poco a poco, è maturata, ha imparato a parlare di sé in forma più sottili e particolareggiate. Col tempo ho capito che la Patria era la relazione instaurata con tre – quattro persone; Istanbul, le mie radici e il mio passato; la mia lingua madre, me stessa. Il mio inferno non era né nel mio Paese, né qui. Lo trasportavo dentro, proprio come le immagini del paradiso.

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