La casa sul Bosforo

Voglio andare nel giardino da tè dove ci rifugiavamo per chiacchierare, dove tu declamavi poesie ad alta voce. All’epoca ero così presa che non siamo riusciti ad avere conversazioni vere e proprie. Erano cambiate molte cose, nel nostro paese. I socialisti lottavano per la democrazia, e sono stati schiacciati dagli stivali dei militari. Tu avevi fatto anni di galera… Piegavamo la schiena. Non smettevamo di cantare i versi di Nazim Hikmet: I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti. Io mi sono lasciata trasportare da quel vento, per fuggire la sconfitta, per vivere libera.

Istanbul: nell’arco di vent’anni si snodano le storie della giovane rivoluzionaria Elif, del musicista Hasan, della giovane apprendista farmacista Selima e di Salih, giovane garzone di falegnameria. Accanto a loro, la saggezza del mastro Artin, del farmacista Kemal, padre di Elif, la malinconica Nahidé con il marito Ismail sempre lontano, la veggente Belguin che legge i fondi di caffè inventando speranze e Gulistan la madre di Sema, intrappolata in un dolore sordo e cieco. Intorno a loro Yedikule, il quartiere di Istanbul  carico di storia e delle storie dei protagonisti, di tradizioni e superstizioni. Vite che intrecciano strade e palazzi, laboratori che sono storie, una farmacia che è il centro di tutto: Yedikule tesse la file di ogni giorno e di ogni strada, di ogni speranza e desiderio, a iniziare dal colpo di Stato del 1980 e dalla prigionia di Kemal. Tra le strade di Yedikule  le minoranze curde , armene e greche: la resistenza curda è attiva, la cultura armena è viva e i pogrom contro i greci sono un sussurro evocato dai superstiti. Yedikule è talmente presente che costringe Elif prima e Sema poi all’esilio, volontario e temporaneo per Sema, unica via di fuga per Elif. Sarà Parigi a costringere entrambe le giovani donne a fare i conti con il passato personale, con il presente, con la storia e la geografia di Yedikule. Il finale è la realizzazione di un sogno di Salih per Sema: la casa sul Bosforo.

Non avrei mai dimenticato il giorno dell’addio. O dovrei dire dell’incontro? L’addio alla rivista, alla mia vecchia vita. Il mio incontro con un mondo nuovo. Più che un incontro, un inizio. Perché impegnarmi su questa via? Pensavo fossero più forti, più efficaci contro le ingiustizie che avevo visto. Non volevo imparare l’impotenza. E non avevo la pazienza di aspettare. All’epoca non sapevo che senza pazienza non si ha la forza di cambiare le cose.

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