La ferrovia sotterranea

Prima di allora non aveva mai pensato granché ai marchi, le X e le T e i trifogli che i padroni imprimevano a fuoco sui loro schiavi. Sulla nuca di Sybill si increspava un ferro di cavallo, brutto e violaceo: il suo primo proprietario allevava cavalli da tiro. Cora ringraziava Iddio che la sua pelle non fosse mai stata bruciata in quel modo. Ma siamo stati tutti marchiati, anche se non si vede, dentro se non fuori, e la ferita creata dal bastone di Randall era esattamente la stessa cosa, la contrassegnava come sua.

Georgia, prima metà dell’800: la giovane schiava Cora accetta la proposta di Caesar di scappare dalla piantagione di cotone dove vive in condizioni disumane. L’inizio della fuga è molto difficile, le prime ore sono essenziali per non lasciare tracce e venire catturati dai guardiani della piantagione e la fuga di Cora e Caesar non inizia nel modo migliore. Attraverso una misteriosa ferrovia sotterranea i due fuggiaschi attraversano vari stati del sud dove la persecuzione dei neri prende forme diverse, ma sempre raccapriccianti. E così attraverso confini e praterie, inseguita da uno spietato cacciatore di taglie e aiutata da improbabili alleati, Cora rincorre la libertà con lo stesso desiderio che aveva portato la madre a fuggire dalla piantagione: un’ambizione che passa di generazione in generazione. Attraverso le pagine del romanzo, l’autore ci conduce nella rete clandestina di abolizionisti che aiutavano gli schiavi nella loro fuga e ci mostra un paese alle prese con l’eterna brutalità dello schiavismo e del razzismo. Un romanzo che non nasconde gli orrori compiuti e al tempo stesso mostra un’eroina femminile tenacemente attaccata alla vita e alla libertà. Una narrazione serrata, che assomiglia nelle immagini, nel ritmo e nella violenza ai western di Quentin Tarantino.

Il mondo può anche essere cattivo, ma le persone non devono esserlo per forza, possono rifiutarsi.

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