L’anno della morte di Ricardo Reis

Ah, ogni molo, E’ una nostalgia di pietra, e adesso che abbiamo ceduto alla debolezza sentimentale di citare, diviso in due, un verso di Alvaro de Campos che dovrà diventare celebre quanto merita, consolati tra le braccia della tua Lidia, se ancora dura quest’amore, guarda che io neppure questo ho avuto, Buonanotte, Fernando, Buonanotte Ricardo, sta arrivando il carnevale, divertiti, nei prossimi giorni non contare su di me.

Capodanno del 1935: da un piroscafo, partito da Rio de Janeiro, sbarca a Lisbona Ricardo Reis, medico e poeta, autore di famose Odi. Comincia così il romanzo in cui José Saramago fa vivere uno dei tanti eteronimi di Fernando Pessoa: gli fornisce carne, ossa, casa, una cameriera d’albergo per musa, e gambe che lo portano a rendere omaggio alla tomba del suo creatore, o a passeggiare con lui – col suo fantasma – per le vie di Lisbona. Pessoa ne aveva immaginato l’ideale biografia: nato a Porto, educato dai gesuiti, medico ed espatriato per ragioni politiche. Saramago lo fa ritornare in Portogallo in occasione della morte di Fernando Pessoa. gli fa vivere una vera vita, sociale, sessuale e affettiva, gli fa cercare casa e aprire uno studio medico a Lisbona e gli fa percorrere strade che sono itinerari di Pessoa e degli altri suoi eteronimi.
La voce di Ricardo Reis è il modo in cui Saramago dissemina la sua prosa di poesia rendendola cantante ed armoniosa, perché il suo Ricardo Reis, mentre vive, va componendo di tanto in tanto i versi delle sue odi, ma lo fa d’impulso, in modo frammentario, appuntandosi qua e là delle parole che si vanno ad ordinare quasi da sé nei metri classici che lui predilige. E, soprattutto, lo fa usufruendo di una serie infinita di citazioni indirette tratte dall’intera opera poetica di Pessoa che riecheggiano tra le righe rendendole oltremodo suggestive ed anche enigmatiche perché invitano al riconoscimento, rappresentano una sfida al riconoscimento e sembra quasi di avvertire lo sguardo arguto e un po’ malizioso di Saramago che fissa il lettore e attende che in lui si illumini la consapevolezza di aver già letto parole simili, forse nelle poesie ortonime, o forse in quelle di Alvaro de Campos o nel diario di Bernardo Soares.
E prima di morire, nell’anno 1936, altro protagonista del romanzo, Saramago rende Ricardo Reis testimone di eventi tragici.
L’espediente che origina la trama, quegli otto mesi di vita regalati a Ricardo Reis sono ampiamente sufficienti per farlo assistere agli avvenimenti che coinvolgono il Portogallo e l’intera Europa in quel terribile anno: la dittatura di Salazar e la sua ideale alleanza con il nazismo e il fascismo, la guerra civile spagnola e il falangismo, l’Anschluss e la guerra di Etiopia. Vede sotto ai suoi occhi come il mondo sta cambiando o lo apprende dalla lettura dei giornali, sua occupazione immancabile, e, come suo solito, si limita a registrare le novità con una sorta di imperturbabile saggezza appena venata di ironia.
E poi Lisbona, altra grande protagonista del romanzo: Lisbona è “città come una cicatrice bruciata, circondata da un terremoto, lacrima che non secca e senza una mano che la asciughi”. Ricardo Reis percorre Lisbona, attraversa strade e percorre tragitti che ci regalano sguardi inediti della città, delle strade e delle piazze, dei monumenti, dei teatri e delle sale cinematografiche, della locande poste al mezzanino e dei pomeriggi di pioggia e vento mentre la marea che sale ai moli di attracco.
Poi, così come era iniziato, il romanzo si conclude, come un cerchio che si chiude, con due versi che naturalmente si collegano e si compongono: “Qui il mare finisce e la terra comincia./ Qui, dove il mare è finito e la terra attende”.
Un capolavoro.

Guarda, vive nella casa di Dona Luìsa. Si allontanarono solo quando il nuovo inquilino comparve a una finestra, dietro i vetri, erano nervosi, eccitati, a volte capita, e meno male, si spezza la monotonia dell’esistenza, sembrava fossimo giunti alla fine della strada e invece era solo una curva che si affaccia su un altro paesaggio e su nuove curiosità.