Le piccole memorie
Non so come verrà percepito adesso, ma in quelle epoche remote, a noi bambini sembrava che il tempo fosse fatto di una specie particolare di ore, tutte lente, strascicate, interminabili. Dovettero passare alcuni anni perché cominciassimo a comprendere, ormai senza rimedio, che ognuna di esse aveva solo sessanta minuti, e, più tardi ancora, avremmo avuto la certezza che tutti questi, senza eccezione, terminavano alla fine di sessanta secondi…
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Dal paese natio di Azinhaga, nel Ribatejo fino ai primi anni a Lisbona, ” le piccole memorie” sono le memorie dell’infanzia e dell’adolescenza: di estati e inverni, di legami familiari e di piccoli amici. Fugaci istantanee che raccontano di enormi alberi e di una campagna disseminata di olivi e vie strette in città, di appartamenti condivisi agli ultimi piani, di pomeriggi trascorsi al balcone e seduto sulle scale a osservare la vita e Lisbona.
Attimi di vita familiare che sono poi il seme della formazione dello scrittore: le letture di Maria, la fata dei boschi, fatte ad alta voce dalla vicina, i traslochi da una via all’altra, le scuole e il primo cinema, e poi la lettura del Diarios de Noticias e la scoperta dell’unico libro in casa: la capinera del mulino. E poi il ricordo di un mattino che cambia radicalmente tutto: il cognome Saramago è stato bizzarramente trascritto da un impiegato dell’anagrafe ubriaco, non è il cognome della famiglia!
Aneddoti allegri e commoventi, a volte tristi, in spensierato disordine temporale, sui primi quindici anni di vita dello scrittore.
Nelle pagine Saramago è intimo e personalissimo, mentre rievoca luoghi ormai spariti sia per l’inevitabile oblio del tempo e sia per l’azione distruttrice degli uomini e ci restituisce i sogni e i colori della vita di un ragazzino nel Portogallo degli anni trenta.
Tu te ne stavi, nonna , seduta seduta sulla soglia della porta, aperta alla notte stellata e immensa, al cielo di cui non sapevi nulla e in cui non avresti mai viaggiato, al silenzio dei campi e degli alberi ombrosi, e dicesti, con la serenità dei tuoi novant’anni e l’ardore di una adolescenza mai perduta: ” il mondo è così bello e a me dispiace tanto morire.”
Proprio così. Io c’ero.