L’uomo che vendeva diamanti

uomo che vendeva diamantiNella strana, enorme stazione ferroviaria i Berman, con le valigie ai pedi, si tennero a leggera distanza dagli altri profughi. Berman aveva un grosso ombrello in seta comprato a Rotterdam, avendo sentito dire che a Londra piove in continuazione. Era estremamente insofferente, Che chiasso infernale! Che caos!

Il protagonista assoluto della storia è Gedaliah Berman, un ricco commerciante di diamanti, emigrato dalla Polonia ad Anversa, uomo iracondo, umorale, forte con i deboli e e debole con i forti e soprattutto, invidioso oltre misura. Le giornate ad Anversa sono scandite da tempi precisi: la colazione, la borsa dei diamanti, l’ufficio in Pelikanstraat poi di nuovo a casa, le preghire e le cene. La routine cambia durante lo shabbas e le festività ebraiche. La moglie di Berman, Rochl è una donna taciturna, osservante, il figlio Dovid è un perdigiorno che si arruola per dare un senso alla propria vita, Jeanette è una giovane alla scoperta del mondo e Jacques è un ragazzino curioso. Berman non sopporta nessuna, grida contro tutti ed è incapace di gestire qualsiasi rapporto. L’arrivo del padre dallo shtetl in Polonia, riporta improvvisamente Berman al passato, ma il ricordo delle sofferenze e della povertà dell’infanzia, lo estranea ancora di più dalla famiglia. Allo scoppio della prima guerra mondiale, mentre molti iniziano a scappare da Anversa, Berman decide di aspettare, convinto della rapidità della guerra e dall’immobilismo degli affari: nessuno compra o vende più diamanti. Costretto a fuggire con gli ultimi profughi, Berman rimane estraneo alla realtà, sentendo sempre più distanti gli altri. Nell’ambiente dei rifugiati londinesi si consuma la stessa guerra di Anversa: ricchi contro poveri all’interno della comunità ebraica. Una narrazione intensa e ironica, tagliente come un diamante. Un vivido ritratto della comunità ebraica in fuga dagli shtetl dell’europa orientale, che da  Anversa, città  di commercianti e tagliatori di diamanti, sbarca nella Londra dei rifugiati ebrei.

Un mattino Berman si vestì come uno sposo, con gli abiti più eleganti, e andò a fare la prima capatina a Hatton Garden. Prestò un’attenzione particolare alla barba, strappando tutti i peli grigi spuntati negli ultimi mesi, poi la pettinò, la spazzolò, la lisciò, e la divise con precisione in due. Poi indossò la redingote migliore, quella con i risvolti di seta e un profondo spacco sulla schiena, un bel soprabito in lana con il collo in velluto, i guanti di pelle marroni e pese l’ombrello di seta nero comprato a Rotterdam. Nel complesso sembrava un banchiere ebreo.

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