Non siamo più noi stessi

Il sole aveva fatto capolino dalle nuvole. Gli aeroplani brillavano, illuminati dai suoi raggi, e diventavano sempre più piccoli, lasciandosi dietro una scia di rumore. Una brezza lieve smorzava il caldo. Le parve un momento perfetto, come possono esserlo talvolta frammenti di quotidianità. Tentò di congelarlo nella sua mente; la dolcezza acre della mela che stava mangiando, il modo in cui scricchiolava sotto i denti, l’odore dell’erba.

Non siamo più noi stessi racconta la storia struggente di Eileen Tumulty, figlia di immigrati irlandesi del Queens, che da sempre sogna un futuro migliore, lontano dalla madre alcolista e dal padre operaio. Eileen sposa Ed Leary, uno scienziato dai modi gentili che indaga gli effetti degli psicofarmaci sul cervello. Non le ci vuole molto per capire che Ed rinuncia volentieri a lavori meglio remunerati, a una casa più grande, ad amicizie più stimolanti, per dedicarsi anima e corpo alla ricerca e all’insegnamento. Così, dopo la nascita del figlio Connell, Eileen decide che tocca a lei lottare per il benessere della famiglia e risparmiando parte del suo salario da infermiera, riesce ad aprire un mutuo per una casa a Bronxville, un quartiere ricco di condomini signorili e di antiche dimore Tudor, ma proprio quando finalmente il suo sogno sembra avverarsi, la famiglia viene messa a dura prova da un feroce colpo del destino. Bronxville non è quello che Eileen si aspettava, la casa è completamente da ristrutturare e i vicini sono distaccati. Il riscatto sociale che la casa rappresentava diventa un nuovo fallimento. Gli amici si allontanano, Connel se ne va per studiare al college e porta dentro di sé tutto il peso del senso di inadeguatezza della madre, della casa e infine anche del padre. Un romanzo intenso e toccante che racconta la vita, i sogni, le illusioni e le disillusioni, i trionfi e le sconfitte di una coppia prima e di una famiglia poi. Una storia che attraverso le vicende di Eileen e Ed narra delle speranze e dei disincanti, delle promesse mantenute e di quelle accantonate dal grande sogno americano.

Thomas le  ripeté il nome del piatto, mentre le infilzava un boccone con la forchetta. Al primo morso capì che era pollo, e che nella salsa c’erano del pomodoro, una specie di panna e delle spezie indefinite. ‘era qualcosa di complesso e contraddittorio, c’erano una mitezza e una robustezza che si contendevano la supremazia, e il miscuglio di consistenze era sostenuto da chicchi di riso sparsi qua e là. Si rese conto di non avere un ricordo in grado di smorzare la pienezza di quell’esperienza. Se assaggiare cibi dimenticati significava far rivivere il passato, allora nei sapori sconosciuti si celava un ricordo diverso: il ricordo delle possibilità future. Stava creandi un nuovo pezzetto di memoria. Stava mangiando cibo indiano. Mai, in vita sua, aveva immaginato che sarebbe potuto accadere.

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