Ritorno a Berlino

Herr Grubach, disse, wir deutsche Juden werden nie vergessen. Noi ebrei tedeschi non dimenticheremo mai. Vidi i Van Nost sobbalzare, i placidi occhi chiari pieni di stupore; osservai lo sconcerto di Nollet mentre si chiedeva se avesse sentito bene, rendendosi conto al tempo stesso di come quelle parole spiegassero molte cose di Devon che fino a quel momento non aveva capito.

Fuggito dalla Germania nazista nel1934, Erich Dalburg si è stabilito a Londra ed è diventato Eric Devon, un perfetto gentiluomo inglese, di cui solo la moglie Nora conosce la vera identità.
Gli anni di esilio  non mitigano il senso di colpa per essere fuggito dalla Germania nazista  e  diventano rabbia difronte a Herr Grubach, passeggero sullo stesso piroscafo che riporta entrambi in Europa nel 1956. Herr Grubach è un fiero sostenitore della Germania, sottovoce di quella nazista e ad alta voce della rinascita tedesca all’indomani della seconda guerra mondiale. Un primo scontro sulle rispettive posizioni riguardo il regime nazista, porta Eric a riappropriarsi della sua identità e della sua lingua madre. Eric affronta il suo essere ebreo in fuga dal regime nazista attraverso la lingua tedesca, seppellita con l’approdo in Inghilterra. Un primo passo a cui deve seguirne uno ben più difficile: ritornare a Berlino. Mesi dopo a Berlino tra macerie, nuove costruzioni e vuoti di spazio, Eric è costretto attraverso dolorose ricostruzioni con la zia Rosie e la cugina Kathe, a conoscere quanto accaduto ai suoi cari a Bergen Belsen. Tra passato e presente Eric affronta i propri sensi di colpa e ricostruisce la propria identità di uomo libero che si è opposto al regime nazista. Un romanzo che racconta un personale e difficile percorso di revisionismo storico.

Noi – noi siamo responsabili di tutto quello che è successo, noi cristiani, perché il regime nazista ha costruito il più grande fallimento della cristianità nell’arco di tutta la sua storia, esclamò zia Rosie, con la voce scossa dall’ira.
Se i capi della chiesa si fossero opposti eroicamente fin dalla prima minaccia, se la chiesa cattolica al cui interno era nato Hitler l’avesse scomunicato e avesse sfidato il suo regime fina dal primo giorno, i tedeschi si sarebbero potuti salvare e non perdere l’anima. Oggi è troppo tardi. Ogni tedesco adulto deve assumersi questa colpa.

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